Roma. A distanza di pochi anni, il Teatro Brancaccio torna nuovamente ad ospitare uno degli spettacoli più “divini” di sempre in una versione rinnovata sia nel cast che nelle intenzioni. Il musical, che nel tempo ha ottenuto diverse nomination in ambito internazionale, è basato sull’omonima pellicola cult con Whoopi Goldberg del 1992 ma, a differenza del film, si svolge a Philadelphia (e non a San Francisco) nella seconda metà degli anni ’70.
La storia è quella che tutti conosciamo: la cantante di night club Deloris Van Cartier (interpretata da Gloria Enchill), dopo aver assistito come testimone ad un omicidio compiuto dal suo compagno, viene nascosta dalla polizia sotto falsa identità in uno dei conventi della città.
Il traumatico arrivo di Suor Maria Claretta ben presto però si trasforma in una ventata di nuovo entusiasmo all’interno del convento, coinvolgendo tutte le altre sorelle e trasformando radicalmente il coro della chiesa, seppur senza l’approvazione dell’austera Madre Superiora, interpretata anche questa volta da Francesca Taverni.
Prima nota positiva dello spettacolo, l’indiscusso talento dell’esuberante Gloria Enchill alle prese con un ruolo difficile che nell’immaginario collettivo appartiene a Whoopi Goldberg, con tutti i paragoni del caso; la giovane attrice riesce tuttavia ad essere credibile e a coinvolgere il pubblico presente in sala, anche grazie alle sue ottime qualità canore che le permettono di spiccare all’interno del cast.
Al suo fianco, le talentuose sorelle del convento, che regalano al pubblico un coro di alto livello oltre che un’ottima caratterizzazione dei personaggi e delle dinamiche: in particolare Suor Maria Roberta e Suor Maria Patrizia (interpretate da Elisa Bella e Mary La Targia) riescono a non far rimpiangere le attrici originali del film, a cui peraltro somigliano notevolmente.
A differenza della versione precedente, spicca un taglio decisamente più ironico e ilare, che caratterizza soprattutto i ruoli di Monsignor O’Hara (Massimo Cimaglia), alcune delle suore, Curtis ed i suoi complici; quest’attitudine maggiormente ilare forse risulta eccessiva in alcuni punti dello spettacolo, ma riesce comunque nel suo intento di strappare più di qualche risata tra il pubblico anche nei momenti più drammatici.
Ben affrontati anche i temi che maggiormente caratterizzano da sempre il musical, come accoglienza, condivisione, vocazione, accettazione e tolleranza, così come il contrasto tra religione e malavita e tra vita di preghiera e vita dissoluta.
Lo spettacolo, nel complesso, mantiene la sua bellezza originaria e la sua brillantezza, seppur mostrando qualche punto debole come la presenza di alcune forzature nell’adattamento del testo all’italiano e la non ottima qualità attoriale di alcuni interpreti.
Coinvolgenti le musiche vicine alla disco-music degli anni ’70 realizzate da Alan Menken, diverse da quelle note del film (anche qui è difficile reggere il paragone) ma non per questo non apprezzate dagli spettatori.
Da sottolineare l’ottima scenografia, anche grazie all’uso di pannelli che rendono il palco in continuo movimento e creano ottime dinamiche, arricchite da alcune performance in cui sono presenti perfino numeri di trasformismo; menzione positiva anche per le coreografie perfettamente geometriche di Nadia Scherani che esaltano le danze di gruppo, le coreografie di Lele Moreschi e i costumi di Ivan Stefanutti, che regalano al pubblico una continua esplosione di colori.
In conclusione, questo nuovo allestimento di “Sister Act – il Musical” con la regia di Chiara Noschese ha saputo portare sul palcoscenico del Brancaccio una versione che riesce ad essere sì fedele all’originale, ma che vuole anche osare (seppur con risultati non sempre convincenti), regalando allo spettatore uno spettacolo di qualità che scorre velocemente per quasi tre ore e adatto a qualsiasi tipo di pubblico.
“Sister Act – il Musical” sarà in scena al Brancaccio fino al 26 novembre, per poi proseguire la tournée in tutta Italia con oltre 80 tappe, confermandosi uno degli spettacoli più amati di tutti i tempi.