New York. È di questi giorni la notizia che Sony Music Group avrebbe raggiunto l’accordo per acquisire la quota di maggioranza del catalogo di Michael Jackson, concludendo così quella che dovrebbe essere la transazione di maggior valore della storia per un singolo artista musicale.
La cifra accordata agli eredi di Jackson infatti, stando ad una valutazione dell’intero catalogo che si aggira tra 1,2 e 1,5 miliardi di dollari, ammonterebbe ad almeno 600 milioni, un importo astronomico anche se di poco inferiore a quello che era trapelato qualche tempo fa in occasione dell’apertura delle trattative.
Sarebbero stati oggetto dell’acquisizione sia il publishing che i master registrati da Jackson, a cui si aggiungerebbero anche delle tracce realizzate da altri artisti ed acquistati dal suo gruppo editoriale “MiJac” tra cui noti brani di Ray Charles, Jerry Lee Lewis e Aretha Franklin. Nonostante la cessione delle quote, i termini dell’accordo lascerebbero tuttavia agli eredi del re del pop un notevole controllo sul materiale: proprio quest’ultimo elemento sarebbe risultato fondamentale per il raggiungimento dell’intesa tra le parti.
La conclusione dell’accordo segue un periodo in cui sono state molto le circostanze ad aumentare l’interesse per il repertorio di Jacko, dallo show di Broadway “MJ: The Musical” agli show a tema del Cirque du Soleil, passando per la realizzazione dell’attesissimo biopic “Michael” di Anton Fuqua in cui sarà il nipote della stessa popstar nipote (Jafaar Jackson) a vestire i panni dello zio scomparso nel 2009 a soli 50 anni.
Non si tratta tuttavia del primo record legato alla carriera di Jackson: l’artista ha venduto infatti circa un miliardo di dischi, di cui 100 milioni di copie solo con “Thriller” (1982), che risulta l’album più venduto a livello globale nella storia della musica. Ancora oggi, nell’epoca dello streaming, i suoi numeri non tendono ad arrestarsi e il re del pop continua a collezionare quasi 40 milioni di ascoltatori mensili solo su Spotify.
La vendita del proprio catalogo per un artista in passato non era affatto vista di buon occhio da un punto di vista reputazionale ma, nel corso del tempo, cedere i diritti di sfruttamento economico sul proprio repertorio (compresi naturalmente i profitti derivanti dello streaming) in cambio di cifre da record è diventata una delle pratiche più consolidate per gli artisti maggiori dell’industria musicale.
Sono molti infatti i volti celebri che hanno deciso di aderire a questa nuova dinamica: dall’intesa di Bob Dylan con la Universal Music Group nel 2020, al recentissimo accordo sul repertorio di Justin Bieber, che in cambio ha ottenuto dalla società Hipgnosis Songs Capital circa 200 milioni di dollari.
L’affermarsi di questa nuova pratica tuttavia non stupisce: la musica è un’industria e come tale deve monetizzare attraverso qualsiasi tipo di conversione del materiale artistico in utilizzazioni che generino proventi economici. In particolare, il settore musicale oggi si fonda prevalentemente sulle esibizioni dal vivo, sullo sfruttamento pubblicitario e sullo streaming, che però richiede numeri enormi per generare ricavi degni di nota. Tali circostanze permettono alla più importanti majors discografiche di investire a lungo termine sul catalogo di un determinato artista, tanto più se da tali accordi deriva la possibilità di pubblicare nuove edizioni dei grandi successi dell’artista e nuove raccolte, arricchendole magari di ulteriori fonti redditizie, come quelle legate al merchandising.
Prima di quest’ultimo accordo per i diritti sui brani di Michael Jackson, il record per il valore dei cataloghi musicali era attribuito a Bruce Springsteen (con circa mezzo miliardo di dollari) seguito dallo stesso Dylan (con 450 milioni); attualmente sembrerebbero essere oggetto di trattativa anche le opere dei Queen, con una valutazione che si aggirerebbe intorno al miliardo di dollari, poco al di sotto dell’intero repertorio di Jacko.