Spotify Music Pro, un nuovo colpo contro gli artisti

Milano. Entro la fine del 2025, Spotify intende lanciare una nuova forma di abbonamento che, per alcuni euro in più rispetto ai piani tariffari ad oggi già praticati, permetterà di ricevere dei servizi aggiuntivi sempre più personalizzati. Si tratta di indiscrezioni, peraltro non nuove all’azienda svedese.
Se il piano andrà in porto, le principali novità consisteranno nella possibilità per gli abbonati di ascoltare musica in hi-fi; di ricevere una prelazione sui biglietti per assistere ai concerti degli artisti preferiti; di effettuare sessioni di pre-ascolto dei brani in uscita (in base agli accordi che interverranno con le major) e, soprattutto, di usufruire di mash-up delle tracce realizzati grazie all’integrazione dell’Intelligenza Artificiale (Bloomberg, ndr).
A ben vedere, proposte simili sono già presenti su TikTok, Tidal e Apple Music che da ultimo consente di accedere ad una versione karaoke dei brani.
L’offerta di Spotify è comunque estremamente complessa e, se sarà attuata in questi termini, comporterà problemi delicati sia per gli utenti che per gli artisti.
Di particolare interesse risultano essere evidentemente i mash-up (ovvero fusioni) dei brani. Un simile prodotto realizzato grazie all’IA con le tracce preesistenti rischia di determinare una distorsione dell’opere create dagli autori, con conseguenti prevedibili violazioni dei relativi diritti (in particolare di quelli morali).
A ben vedere però, per gli artisti i problemi non sorgeranno dai Termini e Condizioni d’Uso sottoscritti con Spotify, ma dagli accordi conclusi con le piattaforme di distribuzione musicale (quali ad esempio, Tunecore o Distrokid).
Alla luce del quadro tratteggiato, si potrebbe inneggiare allo scandalo. In verità, però, la notizia offre l’occasione per una riflessione più attenta. Va detto infatti che già i Termini del Servizio di Spotify (che ciascun utente sigla al momento della creazione del suo account) prevedono la prestazione del consenso dell’utente alla possibilità che i contenuti caricati siano utilizzati per mash-up o per remix. Simili previsioni sono piuttosto frequenti negli accordi con i giganti del web e consentono, peraltro, la circolazione delle musiche nei confronti di cosiddette terze parti: ad esempio, in questo modo i brani possono essere utilizzati sui social, con un vantaggio per l’artista se non economico almeno in termini di visibilità. Nello specifico caso di Spotify, poi, il titolare dell’account presta un consenso alla rinuncia a qualsivoglia diritto morale d’autore sui cosiddetti contenuti generati dall’utente (UGC o User Generated Content). Va evidenziato che così si mortifica il lavoro dei creator, ai cui contenuti è escluso per contratto il riconoscimento di opera dell’intelletto e, di conseguenza, delle relative tutele.
In effetti, tale tipologia di accordi approfitta di un vuoto legislativo del nostro ordinamento presente fino a poco tempo fa. Solo con la riforma del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici si è infatti data una definizione di “video generato dall’utente”, di cui all’art. 3 lett. h) del D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 208. È evidente che i tempi del diritto sono inadeguati rispetto a quelli tecnologici, considerato che l’integrazione IA proposta da Spotify porrà problemi ancora più seri e più gravi di quelli relativi ai contenuti generati dall’utente.
Occorre inoltre segnalare che non tutti i distributori hanno iniziato a strutturare accordi ad hoc rispetto ai mash-up resi possibili grazie all’IA (Tunecore ad esempio ha provveduto).
Sicuramente, l’IA pone sfide operative la cui portata è ancora incerta e si avverte fortemente il timore che il suo utilizzo si tradurrà in un furto di proprietà intellettuale. Tuttavia, come si è provato a raccontare, almeno rispetto alla distribuzione musicale online, probabilmente il furto è iniziato molto tempo fa.

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