Roma. Rapito letteralmente dalla passione nei confronti del Teatro, l’istrionico Stefano Sabelli – che ha debuttato al Cinema a 18 anni, sedotto in scena da Ursula Andress, è stato il cugino di Checco Zalone in un blockbuster come “Sole a Catinelle”, protagonista di film di Piscicelli e Tomaso Sherman, interprete di opere di Monicelli e Tornatore e di fiction internazionali come “La que se avicina” – sarebbe in grado di convincere dell’importanza della cultura teatrale anche il più agnostico. Lo incontro a Roma e innanzitutto gli chiedo dei suoi programmi di artista, regista nonché produttore e direttore artistico del Teatro del Loto. La risposta entusiastica è: “Stiamo per riaprire il LOTO, dopo lockdown e restauri vari, e stiamo per ripartire a giugno, in giro per l’Italia, con le produzioni della Compagnia del LOTO. Non vedo l’ora!”.
Ma quando rivedremo calcare le scene allo Stefano Sabelli attore? La prima produzione di cui mi parli è “Le Vie del Buddha”.
È un mio testo, cui tengo molto, tratto dal Report “MISSIONE A KABUL” che scrissi a seguito della prima Delegazione del MIBAC – guidata d’allora Sottosegretario Vittorio Sgarbi e da Alain Elkan, capo ufficio stampa – che, all’indomani dell’11 settembre, fra dicembre 2001 e gennaio 2002, tornò in Missione culturale in Afghanistan dopo la prima Guerra delle Forze occidentali ai Talebani, quella di Enduring Freedom.
Una Missione – in cui fui coinvolto come uomo di teatro – che ebbe il compito di riaprire l’Ambasciata italiana a Kabul e fare un primo censimento sullo stato di conservazione del Museo archeologico della Capitale e dei principali siti distrutti dai talebani, come quello di Bamiyan, oltre che rendere disponibile, da parte del Governo italiano, ogni sostegno culturale che potesse favorire l’insediamento e il radicamento del nuovo Governo filooccidentale di Karzai, dopo l’apparente sconfitta dei talebani. Cosa che come sappiamo non è poi veramente accaduta!
Come potresti riassumere in pochi lemmi questo recital rispetto al quale mi sembra ci sia anche una rilevante “spinta emotiva” da parte tua?
Un capitolo di quel “Diario di viaggio” (pubblicato integralmente a febbraio 2002 dalla rivista “IL BENE COMUNE”), quello appunto che riguarda la visita alla Valle di Bamiyan – proclamata dall’Unesco Patrimonio mondiale dell’Umanità e dove i Talebani avevano fatto esplodere i Grandi Buddha della Montagna – è il cuore di questo recital che interpreto in forma di Teatro di narrazione.
Vi racconto, anche spesso attraverso episodi ironici e paradossali, lo stupore e lo sgomento di un occidentale, come me, innamorato dell’Oriente, di fronte alla visione di quelle enormi nicchie scavate nella montagna di rossa arenaria, ferite e svuotate per sempre dei loro Buddha. Gigantesche statue, integralmente scolpite in quelle rocce rosse dei monti dell’Hindu Kush che circondano la valle a quasi 3.000 metri d’altezza. Statue maestose e bellissime che, dal V secolo in poi e fino al 12 marzo 2001 (sei mesi prima dell’11 settembre, dunque) per oltre 1500 anni, hanno segnato il passaggio di pellegrini e viandanti giunti a Bamiyan sulla Via della Seta. Una perdita enorme per l’Asia centrale e l’Umanità tutta! Come aver distrutto il Partenone o il Colosseo da noi, in Europa! Il recital è una riflessione su quel vero e proprio Ground Zero d’Oriente – prodromo di quello ancor più tragico che, dì li a poco mesi, si sarebbe manifestato a New York alle Twin Towers – e su fedi, culture e tradizioni che si sono sempre avvicendate in pace in quei luoghi. Posti certamente ancora magnifici ma che a me, come ai componenti della Missione, quando li abbiamo visitati, si sono comunque rivelati tragicamente segnati da 30 anni di guerre, ininterrotte. Prima dei Mujaheddin ai sovietici e poi dell’Occidente all’integralismo degli Studenti coranici e al loro regime. Certo, l’avvento dei Talebani, a Bamiyan come in altri magnifici siti afghani, è stato fatale per cercare di minare irrimediabilmente ogni traccia e memoria di quella… Grandissima Bellezza!
Nel recital racconto anche l’incontro, quasi mistico, con un giovane hazara che mi ha narrato, pure a gesti, il tragico destino toccato al suo popolo, di tradizione sciita e custode nei secoli dei Grandi Buddha della Montagna e di quella meravigliosa Valle.
Invisi ai Taliban – pashtum di fede sunnita – gli Hazara, hanno per questo subito, oltre che vessazioni d’ogni genere, un vero e proprio genocidio, poco raccontato in Occidente.
Dopo un primo debutto, vent’anni fa, da poco rientrato dalla Missione, al Museo Chiossone d’arte orientale di Genova, ho voluto riprendere e produrre una versione aggiornata de “LE VIE DEL BUDDHA”, per ricordare quegli accadimenti nel loro Ventennale. Eventi su cui credo vada tenuta il più possibile viva la memoria, perché molto hanno segnato l’inizio di questo III Millennio. Dividendo il palco con Giuseppe Moffa – bravissimo polistrumentista molisano, già in scena con lui e Saurino nel Moby Dick – questa nuova edizione de “LE VIE DEL BUDDHA”, presentata in anteprima la scorsa estate al “MART” di Rovereto, debutterà dunque il prossimo 27 giugno al “MEMO FEST”, nel Palazzo mediceo di Seravezza, in Provincia di Lucca. Sarà poi a Napoli al Chiostro di San Domenico Maggiore, in collaborazione con la Missione Archeologica Italiana in Afghanistan, l’Università di Napoli “L’Orientale” e l’ISMEO, e in altri festival di Teatro e archeologia in Sardegna, a Roma, in Calabria e ovunque si vorrà revocare il ricordo dell’11 settembre. E anche del 12 marzo 2001! Certamente sarà un’occasione di riflessione e monito, rispetto ai pericoli cui ultimamente sono spesso sottoposti i luoghi di cultura dalla furia iconoclasta dell’integralismo e da chi preferisce togliere Bellezza e Creatività al Mondo. Ciò ha una significativa attualità alla luce di ciò che stiamo vivendo, e che abbiamo visto negli ultimi anni… Soprattutto uscendo da un periodo buio come quello cui ci ha costretti la pandemia, Teatro e Cultura possono e debbono rappresentare un risveglio di coscienza e un collante per le comunità e la loro evoluzione.
In attesa dunque del recital, che sarà arricchito anche dalla grande proiezione di un centinaio di splendide foto, scattate a Bamiyan e in Afghanistan da te, sorge spontanea la domanda in merito ad altri progetti in cantiere. Stefano Sabelli ovviamente non ha alcuna intenzione di stare con le mani in mano:
Intorno alla metà di giugno, prima del “MEMO FEST”, tornerò a vestire i panni di Achab nel “Moby Dick La Bestia dentro”, che Davide Sacco ha tratto da Melville. Dopo tre anni di tour e dopo averlo recitato l’ultima volta a Caprarola, il 29 febbraio – del bisesto 2020! – appena prima del lockdown, io e Giammarco Saurino (che interpreta Ismaele) saliremo ancora a bordo del Pequod. Il nostro palco-nave approderà di nuovo a Roma, stavolta in riva al Tevere – sulla banchina fra Ponte Duca D’Aosta e Ponte Milvio – per Palco Milvio, il festival di cui curerò la programmazione, fra giugno e metà agosto. Poi mi dedicherò anche ad altri progetti come una “Lectura Dantis” che nasce dalla collaborazione con l’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: DANTE E LA SCIENZA MODERNA.
In realtà questo progetto ha già debuttato il 15 aprile – con una diretta streaming con l’Ambasciata Italiana in Messico e in collaborazione la Sociedad Dante Alighieri di Citta del Messico – direttamente dall’antro della Montagna. Ovvero, i Laboratori nazionali del Gran Sasso (un luogo meraviglioso adatto ad un set di James Bond).
Ho presentato la “Lectura Dantis” con Antonio Zoccoli, fisico e Presidente dell’INFN, che ha proposto commenti davvero illuminanti sull’Onniscienza di Dante. Anche dal punto scientifico, il sommo Poeta italiano riserva grandi sorprese, evidenziate da Zoccoli che fa vedere come Dante, nel Purgatorio, è stato persino capace di anticipare la rifrazione e la scomposizione dei colori, teorizzata poi da Newton.
Questo recital mi incuriosisce, come sarà realizzato dal punto di vista scenico con il pubblico?
Con l’INFN proporremo ancora “DANTE E LA SCIENZA MODERNA”, in presenza di pubblico, a Firenze, a settembre, al Museo Galilei. Io però nel frattempo, per celebrare i 700 anni di Dante, ho immaginato un progetto più composito, di cui quello realizzato con l’INFN è solo il primo Capitolo. Quest’estate, infatti, proporrò la Lectura arricchendola di altri capitoli, ovvero: “DANTE E.. la Politica; l’Amore; la Guerra”.
Tutte queste Letture di Dante si avvarranno della suggestione, sonora e visiva, creata da un gigantesco Carillon di campane. Tutte fuse nella Fonderia Marinelli di Agnone – la più antica fabbrica campanara del mondo, risalente addirittura all’anno Mille: ogni campana è stata realizzata da Armando Marinelli per emettere una singola e specifica nota. Il carillon complessivamente è composto da 24 campane. Quindi è uno strumento da 2 ottave complete. Lo suonerà il mio amico Giulio Costanzo, docente di percussioni del Conservatorio di Campobasso, col quale già abbiamo realizzato anni addietro il musical “TAMBURI DI GUERRA”.
Sei anche direttore di quello che, il Touring Club e diversi operator, hanno definito ”il più bel piccolo teatro di Italia”: il Teatro del Loto (Libero Opificio Teatrale Occidentale). Nato da un progetto che, nel 2007, grazie a Fondi POR, ti ha permesso di trasformare un’ex Casa Canonica in Teatro, l’immobile che ospita questo piccolo gioiello scenico molisano, e che nel 2019 è stato definitivamente acquistato da TEATRIMOLISANI, la cooperativa da te presieduta.
Mi hai raccontato che nel 2020, durante la pandemia, visto il perdurare del lockdown, il LOTO è stato nel frattempo ulteriormente restaurato, anche negli esterni, con un progetto che lo ha totalmente riqualificato, energeticamente e architettonicamente nel contesto del Borgo in pietra di Ferrazzano (a ridosso di Campobasso), rendendolo un luogo d’Arte ancor più speciale…
Ambizione vorrebbe far conoscere ora il LOTO come il Più Bel Piccolo Teatro del Mondo. Potrebbe davvero esserlo! Certo, è sempre stato un luogo, a suo modo, magico e unico. Ora poi, grazie ai nuovi lavori, l’intero immobile, da mero contenitore d’Arte, si presenta come “Opera d’Arte in sé”.
Totalmente riqualificato energicamente, sulle facciate del Teatro sono state realizzate imponenti Opere di Street Artist, insieme ad altri abbellimenti e grandi mosaici che ora ne caratterizzano complessivamente l’estetica.
Terminato lo scorso autunno il grande Murale di Alleg (Andrea Parente) dedicato al movimento artistico dell’Ukiyo-e giapponese, con la rappresentazione gigantesca di un attore di Kabuki, un’opera che domina la valle sottostante e visibile anche a più 10 km, la prossima estate sarà messo in cantiere un murale del grande Jorit, dedicato a Robert De Niro, la cui famiglia è originaria proprio di Ferrazzano.
Stai inoltre portando a termine (si augura per l’autunno, quando comunque il LOTO accoglierà di nuovo il pubblico) dei grandi mosaici che caratterizzano tutto il Porticato d’ingresso al LOTO, già ben visibili a chi arriva a Ferrazzano sulla Piazza principale. Ma il LOTO possiede una caratteristica che davvero probabilmente pochi teatri al mondo possono vantare e che tu definisci Four Corner Theatre.
Sì, la grande terrazza, che fa da tetto a tutto il fabbricato. È stata anch’essa restaurata e ora resa agibile per eventi estivi. Consente un affaccio spettacolare sulle 3M, tre catene montuose dell’Appennino centrale, tutte con EMME come iniziale del nome: Matese, Maiella e Mainarde. E inoltre lo sguardo si perde sui territori di ben 4 regioni del Centro Sud: Puglia, Campania, Abruzzo e Lazio. Oltre naturalmente al Molise. A me ricorda il Four Corner che, dal Grand Canyon, si erge e affaccia su quattro Stati confinanti del Sud Ovest degli Stati Uniti.
Con queste prerogative il LOTO, che da quasi un quindicennio ospita stagioni artistiche di grande livello, una Scuola d’Arte Scenica che ha formato tanti talenti e dove nascono gli spettacoli della sua Compagnia stabile – dal 2015 è riconosciuta dal Ministero e sostenuta dal FUS come Teatro d’Innovazione -, sarà ancora più un Centro di Produzione teatrale, fra i più innovativi e ambiti del Centro Sud.
Ma quali sono le nuove sfide di Stefano Sabelli attore e regista?
Fra 2015 e 2019 ho messo in scena e interpretato capolavori come “SAUL”, “RE LEAR” e “MOBY DICK”, per quello che abbiamo definito il “Trittico della Follia senile e perdita di potere”, totalizzando quasi 200 repliche complessive. È stato meraviglioso misurarsi con questi colossi del Teatro. Re e Capitani decaduti che, pur da vecchi, continuano a sfidare, fino all’ultimo, con feroce tenacia, i propri limiti. E anche per me hanno rappresentato un impegno fisico e mentale davvero strenuo e portato al limite. Quest’anno perciò al LOTO, oltre ai miei recital, produrremo qualcosa di meno strong e con cui divertirsi in scena un po’ di più: un Focus sulla Drammaturgia norvegese, classica e contemporanea, con due spettacoli che comunque promettono bei fuochi d’artificio: “PeerGyntTrip”, la nuova grande produzione della Compagnia, e “L’ASINO”, divertente operina sulle solitudini delle società occidentali, che ben si adatta al clima intimista degli ultimi mesi.
Nello spettacolo, tratto dell’opera più fantastica e onirica di Ibsen, non sarò in scena. Ho curato però – in modo piuttosto “lisergico” direi – adattamento e regia, affidando per la prima volta il ruolo del contafrottole cacciatore di renne all’interpretazione di un’attrice: Eva Sabelli, la mia figlia più grande. Divide la scena con altri sette giovani artisti, fra attori e musicisti, di gran talento e che interpretano tutti i diversi e tanti ruoli dell’opera.
Sarò invece in scena, insieme ad Annapaola Velaccio, nel testo di Jon Jasper Hall, stimato autore della nuova drammaturgia di Oslo, già vincitore del Premio Ibsen, diretti da Gianluca Iumiento, bravissimo regista italiano che vive da oltre 10 anni ad Oslo. Lì ha diretto la KHIO, l’Accademia nazionale d’Arte di Norvegia, che produce lo spettacolo con il LOTO e il Florian Metateatro di Pescara. Dopo una prima mise en space a Viterbo lo scorso settembre, per il Festival Quartieri dell’Arte – ottimamente recensita da Franco Cordelli sul Corriere della Sera – “L’ASINO” debutterà in prima nazionale, nella sua versione definitiva ad Asti Teatro, il prossimo 28 agosto.
Veniamo ora all’artista nel suo complesso e ad un’altra iniziativa che Stefano Sabelli ha recentemente intrapreso candidandosi alle elezioni del Nuovo IMAIE. Cosa si aspetta il Maestro dal Nuovo IMAIE?
Soprattutto in questo periodo di Covid, riconosco grandi meriti all’Istituto per il sostegno dato a noi artisti. Per statuto il Nuovo IMAIE svolge un ruolo di tutela fondamentale nella raccolta e distribuzione dei diritti connessi di noi autori interpreti esecutori, come pure un ruolo mutualistico e di sostegno al welfare della categoria. Oggi penso che l’Istituto debba ancora più aprirsi e proporsi come una vera agorà degli artisti. Un luogo d’incontro e discussione, capace di incidere in modo ancor più incisivo sulle nostre attività complessive. Magari attraverso un’ulteriore riforma e ampliamento dell’Articolo 7, che ha sostenuto in passato nuove produzioni per i suoi iscritti. Ma per svolgere al meglio questo ruolo non devono esserci e rivelarsi lati oscuri. Vanno rafforzate, al contempo, trasparenza ed efficienza dell’Istituto, a partire dalla capacità di ascolto degli artisti, il cui ruolo di lavoratori intermittenti o discontinui va riconosciuto e di conseguenza definito e sostenuto anche dal Nuovo IMAIE, oltre che dall’INPS. Se l’artista è voce e sguardo di un’emozione resa ricchezza creativa, morale e sociale del Paese, capace di implementarne anche il PIL, l’Istituto che tutela i diritti connessi di quegli Artisti, per fare davvero loro sponda, deve impegnare ogni forza possibile per moltiplicare la capacità di risposta, rendendola celere e mettendosi così per primo in ascolto di quelle voci e in visione di quegli sguardi.
La mia candidatura nell’ambito della Squadra per l’Audiovisivo (lista n. 4), dunque, si pone nel solco della continuità, ma promuove anche un ruolo più attivo dell’istituto ed un confronto più sensato tra lo stesso ente e il singolo artista.
In bocca al lupo Maestro con la speranza di vederti presto sul palco, magari su quello del teatro del Loto!