Roma. Si è conclusa da poche settimane “Storia del nuovo cognome”, la seconda stagione appartenente alla saga de “L’Amica Geniale”, e l’incredibile consenso mediatico ha condotto gran parte del pubblico ad interrogarsi sulle sorti future di Lenù e Lila e sulle sfide che le attenderanno. Chi scrive ammette di non aver letto i primi due volumi nati dalla penna di Elena Ferrante ma, con la medesima schiettezza, ammette che il giorno dopo aver visto l’ultima puntata della fiction ha fatto i salti mortali per procurarsi “Storia di chi fugge e di chi resta”, pubblicato dalla casa editrice E/O, ovvero il terzo libro della saga letteraria.
Il primo approccio con l’autrice non è stato dei migliori e risale a pochi mesi or sono. Da lettrice accanita e spinta dalla curiosità, per conoscere la Ferrante la mia scelta è ricaduta su “L’amore molesto”, altro bestseller da cui è stato tratto l’omonimo film per la regia di Mario Martone. Se dovessi descrivere il libro con un solo termine userei il termine “disturbante”. Insomma, l’incontro iniziale non è stato dei migliori ma una seconda possibilità non si nega a nessuno e, innamorata profondamente delle fiction dirette da Saverio Costanzo, ho ceduto ancora alle lusinghe dell’autrice.
Sono stata ben felice di aver accantonato le perplessità iniziali perché la lettura, stavolta, è stata travolgente dalla prima all’ultima riga.
Non intendo svelare dettagli che potrebbero anticipare cosa accadrà nel corso della prossima stagione ma alcune considerazioni credo sia doveroso farle. Il libro non deve essere ridotto alla mera storia di due donne, dall’infanzia fino all’età adulta, perché è molto, molto altro. È uno spaccato dell’Italia degli anni Settanta, un decennio che chiunque abbia studiato la storia sa bene quanto sia stato denso di cambiamenti epocali per il nostro Paese. E questo aspetto potrebbe, a tratti, distogliere il lettore dal prosieguo ma le incursioni politiche e l’attualità di cui le pagine sono pregne influenzano direttamente anche le protagoniste e le loro decisioni. Il rapporto quasi simbiotico che aveva accomunato Lila e Lenù in questo terzo volume cambia più e più volte. Apparentemente il futuro di Elena Greco è già delineato, ci sono una vita professionale e privata che si configurano come perfette sotto ogni punto di vista: dopo la laurea l’attende il matrimonio con Pietro Airota, la sicurezza di una vita agiata, il successo letterario donatole dal suo primo romanzo, l’arrivo di due bambine a distanza di pochi anni l’una dall’altra. Ma Elena ha un morbo che la divora dall’interno e quel morbo ha le sembianze di Nino. Ammettiamolo, il fascino del giovane Sarratore ha fatto capitolare, anche solo per qualche pagina, qualsiasi donna colpita dalla sua profonda cultura, dalla sua capacità di affabulare, dalla sua maestria nell’utilizzo delle parole. Nino è il prototipo dell’intellettuale di cui ti cattura la mente prima ancora che il corpo, ma questa patina lucente si sgretola quando a parlare per lui sono le sue azioni, i gesti e le decisioni che lo accomunano pericolosamente allo spregevole padre da cui lui dichiara di volersi affrancare sebbene le somiglianze tra i due aumentino con il trascorrere degli anni. Ed Elena, la pacata, studiosa, coscienziosa Elena, pur avendo lottato per tutta la sua vita contro un amore impossibile, e pur essendosi autoconvinta che Nino fosse da catalogare come una fantasia prima infantile e poi adolescenziale, alla fine compirà il passo falso di cui, ovviamente, non intendo anticipare nulla.
E Lila? Avevamo lasciato l’inquieta Raffaella Cerullo come operaia dell’azienda Soccavo. L’intelligenza vivace che l’aveva accompagnata sin da bambina sembra essersi spenta con il trascorrere degli anni: prima il matrimonio con il rude Stefano, poi l’insana passione per Nino, il ritorno nella casa coniugale e la fuga con Enzo sembravano aver gettato un’ombra sulla sua figura. A tratti si ha l’impressione che Lila si sia sabotata volontariamente e che il suo riscatto intellettivo e morale fosse totalmente demandato ad Elena. In questo terzo volume Lila sarà una figura meno predominante, comparirà a sprazzi, e solo per gettare scompiglio nella vita di Elena. Il suo personaggio sarà in prima linea nelle lotte contro il padrone, la sua mente eclettica ed il suo corpo nervoso sapranno offendere quei pochi uomini che ancora non hanno capito di quale pasta sia fatta, come Bruno Soccavo, il figlio di papà che ha ereditato una fortuna senza minimamente meritarla, e Michele Solara, boss del rione che nutre da sempre un’idolatria malata per Lila.
Raffaella è la donna delle contraddizioni, è colei che cerca di sfruttare a proprio vantaggio qualsiasi situazione le si presenti davanti, è colei che non esita nell’agguantare sfide incredibili perché certa di poter trasformare qualsiasi cosa accada a suo esclusivo vantaggio. Sembra non avere scrupoli, si spinge ai limiti della legalità anche se questo significa minare il suo corpo e la sua mente. Calpesta cose e persone come un carro armato, il suo unico pensiero positivo è per Gennarino, suo figlio. Mentre Lenù costruisce la propria vita a Firenze affrancandosi sempre di più dal rione, da quella realtà violenta che aveva cercato di sommergerla negli anni e che solo lo studio “matto e disperatissimo” le aveva consentito di allontanare, Lila, al contrario, sembra compiacersi dell’abbrutimento inesorabile del quartiere in cui sono cresciute, tanto da ritornarci volontariamente dopo anni. È una dicotomia costante quella a cui si assiste perché Elena e Raffaella, pur essendo diverse nel fisico e nella mente, sono in realtà due facce della medesima moneta ed entrambe sono incomplete senza l’altra. Il rapporto tra le due, infatti, sembra deteriorarsi di frequente, si interrompe anche per anni, ma poi accade sempre qualcosa che fa ripartire il nastro dal punto esatto in cui la pellicola si era interrotta. E la storia è magistralmente narrata dalla Ferrante: l’autrice padroneggia in modo eccellente l’italiano, scade nella volgarità se necessario, ma tocca soprattutto vette elevatissime della lingua costruendo frasi che sono piccoli capolavori e che, pur analizzando apparentemente la psiche delle protagoniste, in realtà gettano una luce sulle nostre miserie, sulle nostre inadeguatezze, sui nostri pensieri più reconditi.
La lettura di “Storia di chi fugge e di chi resta” mi è parsa “illuminante”. Ecco, stavolta destino un altro termine al lavoro Ferrante, ben diverso da quello iniziale.
Leggendo ho compreso due cose: la notizia negativa è che i fantasmi del passato possono divorarci dall’interno, anche se lottiamo quotidianamente per allontanarli dalla nostra mente, e nessuno può fuggire da chi è stato e da cosa ha vissuto.
Quella positiva è che la cultura ci salva, sempre. Come la forza di volontà.