Caserta. Il 30 novembre, al Teatro Comunale di Caserta, è andato in scena “Tavola tavola, chiodo chiodo”, la pièce ideata, diretta e interpretata da Lino Musella, in collaborazione con Tommaso De Filippo per la fase di produzione e con Maria Procino per la ricerca storica. Ad accompagnarlo, sul lato sinistro del palco, il musicista Marco Vidino, che, con la sua chitarra, ha alternato melodie dolci e incisive, scandendo il ritmo dello spettacolo.
Musella porta nei teatri l’eredità di Eduardo De Filippo dal 22 ottobre 2020, data del debutto dello spettacolo al Teatro San Ferdinando di Napoli. Con pochi oggetti e una straordinaria capacità interpretativa, riesce a dar vita all’uomo e all’artista, intrecciando carteggi, lettere e riflessioni di Eduardo con richiami alle sue celebri commedie. Il pubblico rimane catturato per un’ora e quaranta, trascinato in un’esperienza teatrale che alterna momenti di poesia e di profonda riflessione.
L’idea dello spettacolo è nata durante la quarantena, come spiega lo stesso Musella: “In questo tempo mi è capitato di rifugiarmi nelle parole dei grandi: poeti, scrittori, drammaturghi, filosofi, per cercare conforto, ispirazione o addirittura per trovare, in quelle stesse parole scritte in passato, risposte a un presente che oggi possiamo definire senza dubbio più presente che mai. Così è nato in me il desiderio di riscoprire l’Eduardo capocomico e, man mano, ne è venuto fuori un ritratto d’artista non solo legato al talento e alla bellezza delle sue opere, ma piuttosto alle sue battaglie ‘donchisciottesche’, condotte instancabilmente tra poche vittorie e molti fallimenti”.
Il titolo “Tavola tavola, chiodo chiodo” richiama l’incisione presente sulla lapide del Teatro San Ferdinando, una dedica che Eduardo volle fare a Peppino Mercurio, il macchinista che lo aiutò a ricostruire il teatro distrutto dai bombardamenti del 1943, “tavola dopo tavola, chiodo dopo chiodo”.
Un modellino, sospeso in aria, proprio del Teatro San Ferdinando domina il centro della scena. Questo elemento simbolico diventa protagonista di alcune sequenze, come quella in cui Musella racconta la costruzione del teatro, evocando nei gesti e nelle parole l’Eduardo di “Natale in casa Cupiello”, intento a costruire il presepe. Con sapienza, Musella trasmette la gioia di Eduardo per il suo teatro, ma anche le difficoltà finanziarie legate alla sua costruzione e mantenimento, che tuttavia non gli hanno mai tolto la forza di lottare per ciò che amava.
L’attore si muove sul palco con naturalezza, costruendo e ricostruendo la scena da solo, usando con maestria i pochi oggetti di scena. Anche nei momenti di pausa le note di Vidino riempiono lo spazio, mantenendo viva l’atmosfera e il pubblico, attento ad ogni gesto dell’attore. Il monologo non stanca mai, perché reso dinamico dalla capacità di cambiare repentinamente espressioni, voci e sentimenti.
Musella “presta voce e corpo” alle parole di Eduardo, recitando lettere indirizzate al fratello, a Titina e al figlio, ma anche quella ricevuta da Luigi Pirandello, che fu per Eduardo un amico e un mentore. Questi testi vengono interpretati davanti a una suggestiva composizione di candele che l’attore crea sul palco durante la performance. Inoltre, in alcuni momenti, l’attore si rivolge direttamente al pubblico, “che deve essere intelligente”, trattandolo come un’unica persona: Vittorio, un aspirante commediante. Nasce così una riflessione sulla condizione dell’attore, sui sacrifici e le difficoltà del mestiere ma anche sulle tecniche di recitazione.
La composizione di candele si trasforma poi nelle sbarre di un carcere, e così inizia la messa in scena della corrispondenza che De Filippo ebbe con i giovani del carcere di Filangieri, resa perfettamente dal cambio di voce magistrale di Musella, alternando le voci dei carcerati con quella del maestro. Questo “cambio di voci” e di identità si riscontra anche in un altro momento dello spettacolo, quando Lino, posizionato al centro del palco, in piedi sopra un cappello, inizia uno scambio di battute veloce, che rappresenterebbe una serie di interviste che Eduardo ha rilasciato nel tempo, un insieme di domande che un intervistatore un po’ scostante rivolge al capocomico che, invece, risponde con calma e sincerità. La difficoltà della scena e la facilità apparente con cui Musella la porta sul palco lascia a bocca aperta il pubblico, intento a seguirne la perfetta interpretazione. L’attore riesce a interpretare contemporaneamente due personaggi, cambiando tono e girando la faccia in base a chi parla. L’unica distinzione visibile sono gli occhiali: una lente è scura e una chiara.
Al centro dello spettacolo c’è il pensiero di Eduardo: un uomo che, nonostante le sconfitte, non ha mai smesso di lottare per la sua arte. Un uomo povero, ma che si sentiva il più ricco grazie al teatro. Del resto: “la situazione di un attore, e non solo di un attore medio, è quella di una continua ansia e di una assillante ricerca giorno per giorno del lavoro e del pane”.
Ed è così che Musella porta in scena anche il pensiero sul denaro di De Filippo: “Il denaro è una parola, è una convenzione. C’è tanta gente che senza denaro riesce a vivere come se avesse milioni, c’è tanta altra gente, poi, carica di milioni, che vive come se non avesse nemmeno un soldo”.
Ma anche “l’uomo” ha ampio spazio durante la pièce; Musella, infatti, riesce a rappresentare in modo breve ma intenso la sofferenza di un padre che perde la figlia, la sofferenza di De Filippo davanti alla perdita di Luisella. Un’interpretazione che non necessita di parole, basta il gesto dell’abbraccio a un pupazzo e un pianto di spalle per far compenetrare il pubblico nel dolore.
Ma i più importanti scritti che vengono portati in scena sono quelli che Eduardo rivolse alle istituzioni, sia nel 1959 al Ministro Umberto Tupini, sia quando nel 1982, nominato Senatore a vita per i meriti in termini culturali, si rivolse direttamente ai suoi colleghi a Palazzo Madama. Eduardo, infatti, si è sempre contraddistinto anche per i suoi ideali politici circa l’arte e in particolar modo il teatro. Idee contrastanti con quelle dello Stato.
Musella si siede alla scrivania al centro della scena e interpreta con intensità le parole scritte da Eduardo in difesa della cultura e del valore di interpreti e teatranti, denunciando una politica che troppo spesso ha anteposto interessi economici al bene comune e alla salvaguardia del patrimonio culturale.
“Che cosa è stato fatto per aiutare il teatro a vivere? In tutta coscienza non solo si deve rispondere che non è stato fatto nulla, ma bisogna affrettarsi ad aggiungere che è stato fatto tutto il possibile, anzi l’impossibile, per aiutarlo a morire”.
La riflessione che De Filippo scrisse era incentrata sulla subordinazione degli attori e degli autori, gli unici veri protagonisti del teatro, a “speculatori e parassiti”, a governatori, che non si interessavano della loro opinione. Da persone che si autoqualificano teatranti, ma che dei teatranti sono accaniti, irriducibili e spietati nemici.
Eduardo avrebbe voluto un cambiamento nel sistema, ma la “paura” di quegli stessi potenti impediva a tutti, eccetto che al maestro, di rompere il cerchio di silenzio e di omertà. Un cerchio che impediva al teatro di ricoprire il ruolo sociale che gli spettava.
Ad oggi il teatro vanta di un grande patrimonio che si deve soprattutto al vero protagonista dello spettacolo, uno dei più grandi artisti italiani, al quale Lino Musella rende onore, mostrandolo sotto una veste diversa, analizzandone lo spessore culturale e l’umanità, la bravura e la forza di un uomo che non ha mai smesso di lottare per ciò che più amava fare.
Lino Musella regala tutte queste emozioni non solo a noi, ma anche ad Eduardo De Filippo, che, probabilmente, dopo uno spettacolo di questo livello avrebbe sorriso.
“A lungo andare ogni possibilità di comunicazione tra l’arte e l’umanità cessa, se si affievolisce, fino a scomparire, la consuetudine degli uomini di nutrirsi, oltre che di fettuccine e di competizioni sportive, di canzoni e di sermoni, anche delle emozioni, degli insegnamenti e del divertimento che l’arte può offrire”. Eduardo De Filippo.