Los Angeles. Sebbene il 28 gennaio 1985 possa suonare come una data qualsiasi di trentanove anni fa, si tratta in realtà di una giornata leggendaria per la musica mondiale: quella notte, infatti, oltre 40 artisti internazionali decisero di unire le loro voci a sostegno della popolazione dell’Etiopia dando vita ad uno dei pezzi più iconici della nostra storia musicale più recente: “We are the world”.
L’idea di realizzare il brano fu del cantante e attivista Harry Belafonte, il quale decise di coinvolgere Lionel Richie e, a sua volta, il produttore Quincy Jones, che proprio in quel momento si trovava insieme a Michael Jackson; Richie e Jackson iniziarono così a comporre il brano, che prese forma in appena due giorni sia per la musica che per le parole. Il passo successivo fu la definizione dei nomi delle star da coinvolgere nel progetto benefico: Ray Charles, Bob Dylan, Al Jarreau, Cyndi Lauper, Bruce Springsteen, Tina Turner, Dionne Warwick e Stevie Wonder, giusto per citarne alcuni. Ad ognuno di loro furono recapitati la traccia e il testo, con l’indicazione dei versi da eseguire in vista della registrazione del 28 gennaio.
A distanza di quasi quarant’anni, tutti i retroscena di quella notte agli Hollywood’s A&M Studios di Hollywood saranno finalmente svelati con la pubblicazione del documentario “The Greatest Night in Pop”, visibile da domani su Netflix.
Per la realizzazione del docufilm diretta da Bao Nguyen sono stati coinvolti molti degli stessi protagonisti, chiamati a dare la loro personale testimonianza e a ricreare quel clima, l’adrenalina, lo spirito di fratellanza, ma anche le inevitabili tensioni e le difficoltà attorno alla realizzazione di un progetto di dimensioni così vaste, ideato e realizzato nel giro di pochissimi giorni nonostante la mancanza dei social network e dei mezzi di comunicazione di oggi.
Nel documentario sono presenti sia le testimonianze attuali che i molti girati dell’epoca in cui appaiono, tra i tanti, Stevie Wonder, Paul Simon, Tina Turner e Bob Dylan; gli addetti ai lavori raccontano di come – dato il numero e la portata dei nomi coinvolti – tutto avvenne in condizioni di massimo riserbo, anche se il vero protagonista di quella notte non fu nessuno degli artisti coinvolti, ma il comune intento benefico (tra le varie immagini, quella di Quincy Jones che appende sulla porta dello studio di registrazione un foglio con l’ironica scritta “Lascia il tuo ego alla porta”).
Scopo del film, come spiega lo stesso produttore, è quello di “far immergere il pubblico in qualcosa che è molto presente, il ticchettio dell’orologio, quella stanza in cui tutti erano sotto l’effetto dell’adrenalina, così da riflettere sull’impatto di quel brano e di quell’evento”. Dietro la realizzazione del documentario c’è un attento lavoro di produzione sui dietro le quinte, video rimasti senza audio ai quali è stato restituito il sonoro grazie alle registrazioni realizzate in quei momenti da David Breskin, il giornalista di Time incaricato di seguire tutte le fasi dell’iniziativa.
Ma ciò che più in assoluto incuriosirà lo spettatore sarà la prospettiva privilegiata sui momenti più “privati” degli artisti, tra chiacchiere, attese e momenti di nervosismo o ansie: da un Bob Dylan incerto su come eseguire il suo verso che viene aiutato da Stevie Wonder a Diana Ross che chiede l’autografo sul suo spartito a Daryl Hall, passando per l’entusiasmo di Ray Charles e i timori di Huey Lewis nel vedersi affidata la parte immaginata per Prince (che disse di no).
Nella sinossi ufficiale di “The Greatest Night Pop” si racconta di come le 46 star mondiali abbiano avuto “solo una notte per trasformare il caos in magia”, e di come questo docufilm riesca a restituire allo spettatore il racconto di un “viaggio sulle montagne russe” per scrivere e registrare una canzone che ha venduto 20 milioni di copie e raccolto oltre 100 milioni di dollari per la lotta alla carestia in Africa, vincendo ben 4 Grammy e diventando un vero e proprio fenomeno musicale di carattere globale.