Napoli. Al Teatro di Corte di Palazzo Reale in Piazza del Plebiscito, dalle 18 del 14 dicembre alle 18 del 15 dicembre, nell’ambito del Teatro Campania Festival, è in scena “The second woman” di Nat Randall e Anna Breckon, è loro la creazione, la drammaturgia e la regia.
È una performance in tour già dal 2016 che ha ricevuto premi e riconoscimenti internazionali come: “Helpmann Awards” nel 2019 come migliore produzione teatrale e “Evening Standard winner of evening standard theatre editor’s award” nel 2023 per la performance di Ruth Wilson.
In Italia è la bravissima Euridice Axen a vestire i panni di un’avvenente donna bionda in un lungo abito rosso, che recita per 100 volte la stessa scena delle durata di 10 minuti, con 100 attori diversi, la maggior parte non professionisti – uomini e donne non binarie – tranne l’incursione di qualche volto noto, che l’attrice incontra per la prima volta sul palco.
Il canovaccio è semplice: Virginia attende in un soggiorno anni ’50 la visita di Marty con cui intrattiene una relazione ormai agli sgoccioli, i due hanno litigato, lui arriva e cerca di scusarsi, bevono un drink poi mangiano qualcosa che lui ha portato, lei chiede certezze ma le sue parole non bastano a farla sentire amata.
I due ballano in maniera sensuale e poi lei si interrompe bruscamente invitandolo ad andare via porgendogli una banconota, che lui può o meno accettare, e andando via pronuncia la frase: “Ti ho sempre amato” oppure l’altra “Non ti ho mai amato”.
Virginia rassetta la casa: raccoglie gli spaghetti di riso che ha gettato addosso all’uomo, accatasta i bicchieri usati, ne prepara di nuovi, poi si siede ad attendere, immobile come una bambola, per qualche minuto, l’arrivo di un altro uomo.
In questa scatola che racchiude lo spazio scenico in cui si muovono (la scenografia è di Future Method Studio), i due attori improvvisano, il risultato è ora ironico, ora drammatico, in altri casi divertente a seconda dell’interazione in scena dei due protagonisti e della connessione che in pochi minuti riescono a trovare.
Emerge la bravura della Axen che riesce a cogliere le paure, gli imbarazzi, gli atteggiamenti di ciascuno dei partner in scena per cambiare ogni volta registro e tono della stessa battuta, accompagnata da espressioni non verbali e paraverbali che contribuiscono a rendere la stessa sit ogni volta differente.
Contemporaneamente alla proposta teatrale, alla destra del cubo in cui gli attori interagiscono, immersi in una luce rossa (Light Co-Design è di Albert Silk, Kayla Burrett e Lauren Woodhead) che rimanda un po’ all’atmosfera dei motel a ore, il pubblico può assistere alla ripresa in tempo reale grazie a due cineprese fisse e due mobili, che colgono ogni microespressione del volto e le proiettano sullo schermo (il video design è di Eo Gill e Anna Breckon).
In questo modo si ottiene una duplice visione della stessa storia grazie al punto di vista del regista che predilige l’una piuttosto che l’altra inquadratura e quindi un particolare piuttosto che un altro, rispetto alla visione d’insieme offerta dalla rappresentazione dal vivo.
La creazione è ispirata al film “Opening night” del 1977 di Cassavetes, che ha sempre affrontato le tematiche legate ai problemi della coppia e della frustrazione dell’uomo contemporaneo, attraverso una produzione indipendente, con uno stile assolutamente libero e al di fuori dagli schemi dell’industria cinematografica.
D’altro canto l’idea di ripetere per 100 volte la stessa scena ottenendo risultati diversi a seconda del modo e dell’intenzione in cui vengono pronunciate le stesse frasi ricorda gli “Esercizi di stile” di Raymond Queneau, dove della stessa semplice storia vengono offerte 99 versioni tra loro disuguali grazie allo stile letterario adoperato.
E se quello dell’autore francese è un manuale per scoprire quante maniere esistono di raccontare la medesima storia e per comprendere l’inesauribile ricchezza delle parole, che a seconda di come vengono adoperate hanno una resa tale da fare apparire diseguale una vicenda identica, “The second woman” è una performance che mira a dimostrare in quanti modi è possibile rendere la stessa scena, tutto sta alla bravura degli interpreti.