Napoli. Dopo l’anteprima al Napoli Teatro Festival Italia nel 2018 torna in scena al Piccolo Bellini, da martedì 25 a domenica 30 aprile, con un nuovo debutto, “Trilogia dell’Indignazione” di Esteve Soler con riduzione, adattamento e regia di Giovanni Meola. La produzione è di Virus Teatrali. Il catalano Soler è da più di un decennio uno degli autori più tradotti e rappresentati al mondo.
Ora un estratto concentrato della sua Trilogia viene portato per la prima volta in scena in Italia grazie a questo allestimento.
In questa drammaturgia surreale, nera, ironica, grottesca e disturbante, ma anche piena di pietas, c’è tutta la trasformazione antropologica, mediatica e geopolitica in corso, di cui non ci rendiamo ancora pienamente conto.
La sua scrittura, invece, se ne rende conto perché frammentazione e voracità sono tradotte, in ciascuno dei tre ‘Contro’ (contro l’Amore, il Progresso e la Democrazia), in 7 brevi atti unici apparentemente lontani, sconnessi, variegati, ma in realtà intimamente legati, come gli accadimenti sconnessi e variegati delle nostre vite.
Soler crea micro-mondi nei quali si passa, repentinamente ma mai superficialmente, dalla risata alla tragedia, dal paradosso al melodramma.
Note del regista: «Perché, da drammaturgo, si rappresenta un altro drammaturgo? Per consonanza di temi, umori, scarti di scrittura che, nel caso di quella di Soler, ho sentito subito vicina alla mia, così come Soler, dopo aver letto alcuni dei miei testi, ha sentito la mia vicina alla sua.
Vicinanza ma anche lontananza di scrittura, per l’episodicità a cui non siamo abituati qui in Italia, e perciò sfida ancor più affascinante per un regista.
Inoltre, per confrontarmi con un artista straniero, ma di questa stessa Europa, cuore fibrillante di una deriva di cui noi siamo sia vittime che carnefici.
Ho così deciso di selezionare ed adattare gli episodi che più mi hanno attratto e non di scegliere un unico ‘Contro’, lavorando con un cast di attori coi quali condivido da tempo il gusto della ricerca inesausta, del paradosso e della verità scenica.
Per motivi legati alla natura del progetto, le scelte registiche ed interpretative si sono indirizzate verso una frontalità esasperata in grado di farsi all’improvviso ‘calda’ e avvolgente solo in alcuni, determinanti, momenti di relazione diretta, cosa che ha permesso un gioco attoriale apparentemente distaccato ma invece, a mio e nostro modo di vedere, estremamente toccante e raggelante allo stesso tempo».