Napoli. Dal 7 al 12 maggio al Teatro Bellini è in scena Lino Guanciale col monologo “Napoleone. La morte di Dio”, scritto e diretto da Davide Sacco.
Ad accompagnarlo, su un palcoscenico inizialmente spoglio occupato solo da una panca, dove Guanciale inizia il suo racconto a tratti intimistico, malinconico, in altri maestosamente descrittivo e rumoroso come il corteo funebre, è Simona Boo.
Bella voce dei 99Posse che, come un corifeo senza coro, intona con lui la canzone di Modugno “Cosa sono le nuvole”, con testo che fu scritto da Pier Paolo Pasolini, quasi a fargli da contraltare al suo soliloquio, a evidenziare il contrasto tra mente e cuore.
È seguita dall’aria “Lascia ch’io pianga”, dal “Rinaldo” di Haendel, espressione di uno spirito libero, costretto in catene, infine, il motivo “L’ombra della luce”, preghiera laica di Franco Battiato, che – rivolgendosi al padre/Creatore – sussurra: “E non abbandonarmi mai…E non mi abbandonare mai”, assurgendo così a pieno titolo la rappresentazione a rito.
Terzo personaggio in scena è Amedeo Carlo Capitelli, inquietante becchino, che allestisce il mausoleo funebre, prima stendendo un telo cerato, agitato come un’onda insieme a Simona, poi distribuendo al centro del palcoscenico la terra per la tumulazione e, infine, posizionando la panca a mo’ di simulacro funebre, insieme ai lampadari a goccia calati dall’alto movimentando manualmente le funi a vista e soprattutto in molti tratti cadenzando il ritmo.
Tutto questo mentre Guanciale, figlio in lacrime per la morte del padre, si dispera per quella perdita e descrive la pietà e la rabbia nell’averlo visto lentamente invecchiare e perdere le forze al punto da non potere più né camminare, né parlare, mentre in silenzio si vergognava per non riuscire a trattenersi dal fare i propri bisogni nel letto.
E lui avrebbe voluto lavare quel corpo, contro l’opinione comune che lo invitava ad allentare il dolore e a non guardare, ma a ricordare l’uomo nel suo pieno vigore. Lui invece vuole osservare e così scopre dei particolari che diversamente non avrebbe mai conosciuto, come un neo, una cicatrice sul tallone, chiedendosi quale sia l’età giusta per morire e perché si tende a nascondere sempre il dolore.
L’occasione per interrogarsi sul senso della vita e quindi della morte e del rapporto padre-figlio è l’evento storico del 15 dicembre 1840: dopo vent’anni dal suo decesso, le spoglie di Napoleone Bonaparte, in una gelida giornata d’inverno, sono riportate a Parigi in un sontuoso corteo funebre, per essere tumulate nella chiesa di Les Invalides.
Ad attenderlo un bagno di folla per rendergli onore, tra questi Victor Hugo, che coglierà l’occasione per scrivere il suo saggio “I funerali d Napoleone” per riflettere sul senso della storia.
Che Davide Sacco sia partito proprio dal saggio di Hugo lo fa dire all’inizio dalla voce fuori campo di Lino Guanciale: “Non so se io ho letto il libro o il libro ha letto me”.
Quello che poi ha raccontato è il dolore di un figlio per la morte del padre, sentimento che da particolare diventa universale, perché anche se non fosse un imperatore, per un figlio, qualunque figlio, il proprio padre sarebbe sempre il suo Dio.
Di colpo la parte in fondo al palcoscenico si illumina di lucette che ricordano quelle del cimitero e dall’alto viene calata prima una bara semplice, lentamente, per poi cadere rumorosamente al suolo, interrompendo di colpo il flusso di pensieri.
Crediti foto: Flavia Tartaglia.